L'ENTROTERRA DI OTRANTO

In bici fra dolmen, menhir e tesori della natura

Il Dolmen Stabile

Dolmen, menhir ed enigmatici imponenti massi: è un viaggio nella civiltà della pietra l’itinerario cicloescursionistico che attraversa il parco megalitico di Giurdignano, tra ulivi secolari e terra rossa, partendo dal cuore di Otranto, e toccando una delle meraviglie di Puglia, la cava di bauxite, ma anche affacciandosi nel blu Mediterraneo dal punto più a est d’Italia, sorvegliati dal Faro della Palascìa.

Si parte dal centro storico di Otranto (km 0.3) e prima ancora di prendere il ritmo della pedalata, ci si ritrova davanti alla Cattedrale, dopo una breve salitella. E qui si aprono le porte a un mondo davvero fantastico. Perché, oltrepassata la facciata con il suo straordinario rosone centrale di stampo gotico e il suo elegante portale, è il mosaico del monaco Pantaleone a impressionare: realizzato fra il 1163 e il 1165, l’intero pavimento della basilica raffigura l’albero della vita, con le diverse scene che raccontano il cammino dell’uomo per affrancarsi dal peccato e ottenere la salvezza eterna.

Si torna in sella per spaccare il borgo antico ed ecco il Castello Aragonese (km 0,7) proteso verso il mare che nei secoli scorsi lo circondava per difenderlo. Si supera il fossato e si scende in direzione del porto, per poi salire fino al Colle della Minerva (km 1,7) ed entrate nella Chiesa Santa Maria dei Martiri per leggere un’altra pagina di storia, quella degli ottocento otrantini che proprio qui vennero trucidati dai turchi. Bisogna varcare la soglia della Chiesa Santa Maria dei Martiri (km 1,7) non solo per ammirare gli splendidi altari barocchi con straordinari ricami di pietra, ma soprattutto per immergersi nella suggestione dell’eccidio dei martiri otrantini guardando il grande dipinto del XVI secolo, che campeggia alle spalle dell’altare maggiore, opera di Ludovico Zoppi e che ritrae la terribile scena dei martiri otrantini, decapitati sul Colle della Minerva il 14 agosto 1480 per non aver voluto rinnegare la fede cristiana, dichiarati santi nel 2013 da papa Francesco.

Tocca imboccare una ripida salita ai piedi della chiesa per uscire da Otranto e dirigersi verso baia delle Orte (km 4,7), la più selvaggia delle spiagge della costa di Otranto, che si raggiunge imboccando un sentiero sterrato, tutto in discesa, fino al livello del mare. 

Si risale, e sullo sterrato irregolare non è sforzo da poco, pedalando (o spingendo la bici a piedi) per quasi un chilometro fino a che non ci si presenta davanti una delle cartoline più belle della Puglia: il lago rosso nella ex Cava di bauxite (km 5,7). È davvero uno spettacolo unico con le rocce rosse da paesaggio marziano che si tuffano nelle acque placide di un colore verde smeraldo. In realtà proprio “naturale” questo sito non è, essendo appunto una cava di bauxite (minerale usato per ricavare l’alluminio) attiva dal 1940 al 1976. Ed è stato dunque l’uomo a scavare nella scogliera a pochi metri dal mare creando questo grande catino di terra e acqua, in parte circondato dalla pineta. Solo l’abbandono dell’attività estrattiva ha consentito alla natura di riappropriarsi di questo spazio, trasformandolo in un luogo suggestivo. La luce del sole, con i suoi raggi che esaltano i colori, rende ulteriormente magico il sito soprattutto alle prime luci del giorno e al tramonto. Uno spettacolo unico e indimenticabile.

Un single track di poche centinaia di metri consente di immettersi sulla litoranea per Porto Badisco che si percorre solo per un brevissimo tratto, svoltando a destra su uno sterrato abbastanza comodo che attraversa un’area di macchia selvaggia, alternata a qualche campo coltivato. Quando si scorge la prima masseria non bisogna pensare che si tratta solo di un’azienda agricola. La masseria sulla sinistra nasconde uno dei gioielli dimenticati della storia del Salento: i resti della Abbazia di Casole (km 7,9), cuore del dialogo tra Oriente e Occidente. A guardarlo non si direbbe proprio che qui ci sia stato uno dei cenobi più importanti del Mediterraneo, una delle biblioteche più ricche dell’Occidente. Oggi per aggirarsi fra le rovine, fra le quali spicca l’abside miracolosamente quasi intatto, bisogna chiedere permesso (si tratta di una proprietà privata e accanto c’è una casa rurale) e lasciar lavorare la fantasia. Qui, “su questo palcoscenico di bellezza” avvenne, come affermò la scrittrice Maria Corti, “un fatale scontro di idee sacre e di appetiti profani”. Di cui restano solo rovine.

Lasciandosi alle spalle questa pagina di storia, si continua a pedalare con qualche difficoltà per il fondo sterrato irregolare e soprattutto sempre più pietroso. Il mare è a Oriente ed è proprio in quella direzione che si deve guardare quando si giunge a uno straordinario punto panoramico (km 9,4), isolato nella brulla campagna: un piccolo spiazzo nella macchia mediterranea selvaggia è come un balcone sul mondo mediterraneo, che apre le porte di uno dei paesaggi più incontaminati e primitivi del Salento. Fra distese di vegetazione selvaggia, pascoli, un grande campo coltivato e ciuffi di pineta sullo sfondo, sulla spoglia scogliera si staglia Torre Sant’Emiliano.

Con ancora negli occhi il paesaggio infinito, si pedala con attenzione su uno sterrato molto pietroso che costringe spesso a scendere dalla sella, finché non si arriva a Masseria Cippano (km 9,9), o meglio a ciò che resta di una delle masserie più belle della costa. Quando si entra nel cortile, è la scala che porta al primo piano ad attirare subito l’attenzione: qui una volta c’era un vero ponte levatoio, come nei castelli. Già, perché questa è una masseria fortificata del XV secolo, dominata da una torre di difesa. Quando si sale su e ci si affaccia allungando lo sguardo verso il mare, si può capire perché il regista Ferzan Ozpetek abbia deciso di girare qui nel 2010 alcune tra le scene più suggestive del suo film “Mine vaganti”.

Si torna in sella sullo sterrato, finché non si torna sulla litoranea, ma sempre circondati da un paesaggio selvaggio e primitivo che accompagna il percorso lungo la costa fino alla spiaggetta di Porto Badisco (km 14,1), una deliziosa spiaggetta incastonata nella scogliera, dove si possono gustare favolosi ricci. Prima di arrivare si attraversa l’area archeologica su cui insiste la Grotta dei Cervi, la terra che nel suo ventre conserva lo scrigno di disegni e pittogrammi primitivi, inaccessibile per non alterare il microclima che ne consente la conservazione.

Porto Badisco è un borgo piccolissimo che offre la possibilità di gustare ricci appena pescati ed è dunque ideale per una tappa. Subito dopo si prosegue sulla litoranea lungo una salita che segue la costa toccando Torre Minervino (km 16,3), che si staglia sul mare, unico baluardo di civiltà lungo una scogliera selvaggia e quasi inaccessibile.

Si lascia la litoranea per salire con un piccolo ma deciso strappo verso l’entroterra per arrivare prima al piccolo centro Cerfignano (km 19,5), frazione di Santa Cesarea Terme, e raggiungere poi Cocumola (km 21,2), altro minuscolo e delizioso borgo, con la sua singolare piazza triangolare nella quale spiccano, all’ombra dei palazzi nobiliari, le fogge usate per conservate il frumento. Si stima che alla fine del 1800 se ne contassero circa duecento in grado di stipare complessivamente ben diecimila quintali di frumento. Il paese è tanto placido e “sonnacchioso” da aver fatto scrivere al celebre poeta salentino Vittorio Bodini che qui “la vita cocumola fra le pentole”.

Ancora campagna, con gli ulivi che si alternano alla dolce campagna finché non si arriva a Minervino di Lecce (km 23,4), accolti da una bella piazza a forma rettangolare su cui si affaccia la Chiesa madre di San Michele Arcangelo che però orienta da tutt’altra parte la facciata con il suo prezioso rosone barocco che con i suoi intagli richiamo quello della Basilica di Santa Croce di Lecce.

Si esce dal paese solo per poche centinaia di metri e si arriva alla frazioncina di Specchia Gallone (km 25,7) che, nonostante i suoi quattrocento abitanti, può contare su un imponente palazzo baronale. Lasciato alle spalle il piccolo centro, si attraversa la provinciale 62 per ritrovarsi a pedalare lungo una strada circondata da ulivi monumentali (km 28), oggi alle prese con la piaga della Xylella. Altri due chilometri e una brevissima deviazione sulla destra fa aprire le porte a uno dei luoghi magici più enigmatici del Salento: ecco i Massi della Vecchia (km 30), originali rocce di grandi dimensioni e strane forme che hanno alimentato le più fantasiose leggende. Come quella, appunto, che vuole questo luogo regno di una strega, la Vecchia, che premiava chi dava la giusta risposta alle sue domande con una gallina con sette pulcini d’oro, ma che puniva chi sbagliava trasformandolo in roccia. Così nel raggio di poche decine di metri, uno dopo l’altro si affiancano Lu Lettu te la Vecchia (il letto della vecchia), Lu Furticiddhu te la Vecchia (il volano del fuso della vecchia) e il Piede d’Ercole, tutte grandi formazioni calcarenitiche di epoca miocenica, che le piogge e il vento hanno bizzarramente modellato nel corso del tempo.

Si torna sulla strada asfaltata per toccare Masseria Quattromacine (km 32), su un piccolo rilievo, per continuare a pedalare nella campagna, guidati dai muretti a secco, entrando in luogo davvero magico. Una deviazione a sinistra su una strada sterrata conduce dopo poche centinaia di metri al Dolmen Stabile (km 33,2): giungere al suo cospetto è come entrare in un’altra dimensione temporale, nessun segno di civiltà e quel “muro” di enormi massi che fa da quinta al dolmen, tutto sommato di piccole dimensioni (è alto poco più di un metro e il lastrone che lo ricopre è lungo due metri e sessanta e largo poco meno di due metri). Questo, una volta, faceva parte di un piccolo complesso di dolmen, poi rimossi per far posto alle coltivazioni. Chissà a che cosa potevano mai servire questi singolari monumenti della civiltà rupestre, ancora oggi le interpretazioni degli esperti spaziano da riti ancestrali a usi sepolcrali, senza trovare una spiegazione univoca.

E restano un mistero anche i menhir, che uno dopo l’altro si susseguono in questa terra che viene definita come il più grande giardino megalitico d’Italia. Ecco allora il Menhir Vicinanze 2 (km 34,6), alto tre metri, infisso come una spada nella roccia su un piccolo rilievo lungo la strada. Ancora poche centinaia di metri e a un altro crocicchio c’è il Menhir Vicinanze 1 (km 34,8), ancora più alto (quasi quattro metri), anch’esso infisso nella roccia. Ma è il Menhir San Paolo (km 35,2) quello più singolare, anche se è alto solo poco più di due metri. Lo si incontra sempre sulla strada, sulla sinistra. Ai suoi piedi nel banco roccioso scelto per edificarlo si apre una piccola cavità naturale, una grotticella che custodisce un antico affresco di San Paolo e un ragno che fa pensare al fenomeno delle tarantate.

Si arriva a Giurdignano (km 35,4) e si sfiora un altro monumento rupestre, il Menhir San Vincenzo (km 35,5), prima di ritrovarsi davanti a un altro piccolo scrigno di colore, arte e storia, la Cripta di San Salvatore (km 35,6): inglobata in una moderna costruzione in pietra leccese che dai finestri fa intuire la bellezza qui protetta, è un vero gioiello dell’architettura rupestre bizantina, risalente all’VIII secolo, con le sue tre navate scavate interamente nel banco di roccia tufacea.

Poche centinaia di metri e ci si ritrova nel centro storico di Giurdignano (km 36) al cospetto del palazzo Baronale in una piazza dove, nella cornice di pietra leccese, pulsa il cuore di una piccola comunità. Nel centro urbano si tocca il Menhir Madonna del Rosario (km 36,3) per poi imboccare una stradina che, dopo il cimitero, inizia a condurre in direzione del mare. Tra gli ulivi e i muretti a secco, sulla sinistra c’è l’ingresso della Fondazione Le Costantine (km 37,6), che non è solo una struttura d’accoglienza con annessa locanda salentina per trovare ristoro, in tutti i sensi, da quello culinario a quello spirituale. Qui c’è un pezzo di una storia singolare del Salento, una pagina ancora oggi molto viva, con il suo fulcro nelle vicende di donne laboriose e intraprendenti che, nel segno dell’emancipazione, costruirono qui tra Ottocento e Novecento una singolare esperienza con attività d’avanguardia sia nella gestione dell’azienda agraria sia nella tessitura e nel ricamo. 

Si continua a scendere gradualmente fin quando un sentiero sulla destra non apre le porte alla Valle dell’Idro (km 39,5), che prende il nome dal corso d’acqua alimentato da sorgenti sul lato nord della valle, le sorgenti di Carlo Magno. È solo un ruscello, ma quanto basta per alimentare gli orti di una valle che alimentano la comunità di Otranto (qui, tra l’altro, si coltivano le cicorie all’acqua, specialità locale). Acqua che in passato è persino servita per costruire un vero e proprio piccolo acquedotto per soddisfare le esigenze militari delle basi del porto (lo costruirono gli inglesi) e quelle delle popolazione locale.

Sul versante destro della valle, lungo la quale scorre il sentiero che diviene presto sterrato, a un certo punto si aprono delle cavità, piccole grotte che costituirono casa e rifugio fin dai tempi remoti. È ancora la civiltà della pietra a parlare con la Chiesa rupestre di Sant’Angelo (km 39,8), con i suoi affreschi che lottano con le ingiurie del tempo. Colpisce la struttura, parte crollata, con i tre absidi tutti scavati nella roccia, a cui si accede attraverso due porte, mentre a fianco una terza porta introduce ad un’altra piccola cavità. 

Si continua a pedalare lungo l’Idro e il sentiero diviene un single-track che taglia gli orti fin quando la strada, come il fiume, non “sfocia” a Otranto (km 42,3), ancora poche centinaia di metri e si ritorna davanti alla Porta Alfonsina (km 42,6). Alla ricerca di un approdo sicuro che Otranto, da secoli, continua a offrire.

info tecniche

Percorso:
ad anello, privo di segnaletica

Punto di partenza/arrivo:
Otranto

Lunghezza:
km 42,6

Dislivello:
+336/-336

Strada:
asfalto (70 per cento) e sterrato (30 per cento)

Paesi interessati:
Otranto, Cerfignano (Santa Cesarea Terme), Cocumola (Minervino di Lecce) Minervino di Lecce Specchia Gallone (Minervino di Lecce), Giurdignano.

Difficoltà: media

Bici consigliate:
Trekking, Gravel, Mountain Bike

Tempo di percorrenza:
4/5 ore

Itinerario proposto da:
salento.bike

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